Cassazione: bigenitorialità non vuol dire tempi uguali coi figli
- 12 Dicembre 2018
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Per i giudici della Corte bisogna considerare le esigenze di vita del minore e dell’altro genitore e non procedere a meri calcoli matematici.
Mentre il ddl Pillon sta percorrendo la strada che lo potrebbe portare a sancire il principio della “bigenitorialità perfetta”, i giudici si schierano in maniera non propriamente conforme a quanto previsto dal disegno di legge.
Da un lato, infatti, vi è l’articolo 11 del ddl, che sancisce tra le altre cose che i minori hanno “il diritto di trascorrere con ciascuno dei genitori tempi paritetici o equipollenti, salvi i casi di impossibilità materiale”; dall’altro lato vi è invece la Corte di cassazione, per la quale il principio di bigenitorialità “non comporta l’applicazione matematica in termini di parità di tempi di frequentazione del minore”.
Lo si legge nell’ordinanza numero 31902/2018 nella quale i giudici della prima sezione civile hanno spiegato che il predetto principio deve piuttosto essere inteso come “diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella vita del figlio nel reciproco interesse”.
Ciò posto, occorre considerare le esigenze di vita del minore e dell’altro genitore e, quindi, il modo in cui la madre e il padre svolgevano i propri compiti prima della disgregazione della loro unione.
Per la Corte di cassazione insomma – come del resto già affermato nella sentenza numero 18817/2015 – la bigenitorialità deve essere intesa come presenza comune di mamma e papà nella vita dei figli, tenendo però conto delle consuetudini di vita di entrambi i genitori, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità a mantenere un rapporto assiduo.
( fonte: Studio Cataldi- Il diritto quotidiano- 12.12.2018)
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